È
stata usata, come termine di confronto, una traduzione in lingua inglese dello
stesso testo ad opera di Toyama Ryōko (depositata presso il sito www.nausicaa.net).
L'ordine cognome-nome rispetta l'originale giapponese e
non è ribaltato come invece avviene di consueto (quindi Miyazaki Hayao e non
Hayao Miyazaki).
Le note tra parentesi quadre sono opera del traduttore.
I titoli delle opere sono riportati in italiano, tra parentesi il titolo
originale e l'anno di produzione.
La traduzione è stata eseguita senza alcun fine di
lucro, con l'unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana
sull'animazione giapponese, altrimenti irraggiungibili, ed è liberamente
distribuibile. In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In
caso di distribuzione e/o utilizzo si prega comunque di avvisare
anticipatamente il traduttore.
Tutti gli errori e le omissioni sono da addebitarsi al
traduttore.
Oshii Mamoru -
intervista
Miyazaki e Takahata sono
straordinariamente pieni d'energia. Non posso permettermi di perderli di vista.
A cura di Ishii Rika
Anchor, l'opera in comune perduta
La prima volta che ho incontrato
Miyazaki è stato nel 1983, in una intervista in comune per la rivista Animēju.
È stato subito dopo la mia prima regia, e quindi lo vedevo quasi come una
divinità. Avevo saputo di Miyazaki con Conan il ragazzo del futuro [Mirai
shōnen Konan, 1978]. Era in onda nel periodo in cui ero stato assunto dalla
Tatsunoko come regista, e mi aveva colpito davvero molto. Sentivo che prima o
poi ci si sarebbe incontrati, ma era avvenuto prima di quanto pensassi, e quindi
mi sentivo piuttosto teso.
Come prima impressione, mi sembrò una
persona cordiale, ma quando la discussione entrò nel vivo fu senza pietà, e mi
disse cose piuttosto dure. ^_^ Quindi, alla fine, pensai che era davvero una
carogna!
Comunque sia, era una persona
spaventosamente piena di energia, e mi dicevo che forse mi somigliava, per la forte
aggressività e perché parlava molto. Anche Takahata è così, è come se a vincere
sia quello che parla più dell'altro. E non si parla per chiacchierare, ci si sforza
di convincere l'altro punto per punto. ^_^ Quindi è parecchio spossante. Come
risultati, credo che ci troviamo alla pari. Ultimamente siamo entrambi
impegnati, e quindi non ci vediamo nemmeno una volta l'anno, ma quando succede
l'impressione è sempre quella che ho detto.
Takahata frequenta gli stessi luoghi di
Miyazaki, quindi lo vedo spesso, e ci ho anche parlato. Abbiamo anche discusso per
fare un lavoro insieme. Mi pare sia stato dopo Tenshi no tamago (1985), per
un'opera chiamata Anchor [Ankā], mi pare proprio che Miyazaki
dovesse fare il produttore, io il regista, e anche Takahata doveva occuparsi
della produzione. Ci siamo incontrati, abbiamo persino steso una sceneggiatura,
ma una sera abbiam fatto una grande litigata, e alla fine abbiamo rotto.
Anche Takahata, apparentemente, è una
persona a cui piace discutere, con questa smania di voler persuadere l'interlocutore,
ma la sostanza è molto diversa. Miyazaki ha qualcosa di tenero, e alla fine la
sua idea è che quel che è buono è buono, non è una questione di razionalità.
Nel caso di Takahata, invece, c'è coerenza dall'inizio alla fine, perché è una
persona razionale. Credo sia stato Ōtsuka Yasuo [Uno dei maggiori animatori
giapponesi; pur non parte dello Studio Ghibli, ha collaborato a molti lavori di
Miyazaki e Takahata] a dire una volta che Takahata è la razionalità su due
gambe... mentre io sarei la razionalità che va in bicicletta! ^_^
Forse, in teoria, mi troverei
maggiormente d'accordo discutendo con Takahata, ma in realtà, se devo proprio
decidere tra i film che hanno fatto, in quelli di Miyazaki trovo più aspetti
con cui essere in sintonia. Di Takahata ci sono lati in cui sembra che non
scorra sangue. Come persona dà l'impressione che, fondamentalmente, non accetti
smacchi, o ferite.
A prima vista sembra una persona calma,
che non vuole esprimere ad alta voce quello che vuole, come invece fa Miyazaki,
ma una volta che comincia qualcosa, allora si trasforma radicalmente. Sembra quasi
un'altra persona, perché quando deve negare un avversario ne nega persino
l'umanità. Io trovo che sia uno stalinista! ^_^ Miyazaki, invece, ha alcuni
aspetti un po' trozkisti, ma dal mio punto di vista sono entrambi uomini venuti
dalle contestazioni degli anni Sessanta, con una fortissima disposizione
all'intimidazione. In particolare, quando intimidiscono i giovani membri del
loro studio, esercitano una pressione tremenda, completamente diversa dalla
loro consueta cordialità. Quando lavorano, cambiano personalità.
Lo Studio Ghibli è il Cremlino.
In altre parole, se vogliamo dirlo come
negli anni Sessanta, quando l'obiettivo è giusto i mezzi non contano. La mai
impressione è che per loro, anche adesso, fare un film è una sorta di
estensione dell'attività sindacale: elaborare una strategia, coordinare gli
uomini, epurare gli oppositori, e così via. Non cambia nulla, ci sono le
agitazioni e le minacce tipiche dei movimenti di massa. Al fondamento c'è una
completa teoria dell'organizzazione, per portare a termine la volontà dei
vertici.
Per me lo Studio Ghibli è il Cremlino!
^_^ La sede principale è crollata da un pezzo, ma da qualche parte, tra i campi
di Koganei [dove si trovava la sede dello Studio Ghibli] esiste ancora. E
forse, in un certo senso, si può dire che la sua esistenza abbia un suo valore,
che per com'è fatto svolge un suo ruolo. Intendo, certi atleti d'acciajo
possono essere creati solo nei paesi comunisti e allo stesso modo certe persone
possono essere create solo nell'economia di mercato.
Sicuramente c'è un tipo di animatore
che solo lo Studio Ghibli può formare, perché il talento dello staff è
eccellente, dagli intercalatori fino a chi si occupa delle rifiniture. Possiamo
apprezzarlo nel senso che è un ambiente di formazione puro, ma quando ci
chiediamo se sia corretto sotto tutti i punti di vista, allora io penso non lo
sia. Penso che dovrebbero scioglierlo immediatamente! ^_^ Penso che avrebbe
molto più senso se chi ci è cresciuto uscisse nel mondo.
Certo, poi ci sono cose che solo lo
Studio Ghibli può fare, e se scomparisse andrebbe persa una tradizione. Ma si
tratta di un valore relativo, e dal punto di vista del valore indivudale credo
dovrebbe essere sciolto immediatamente. Il problema è uguale al crollo
dell'Unione Sovietica, dove ci si chiede se fosse meglio prima o dopo, ma, se
si tratta di creare qualcosa, io penso che dopotutto, rispetto a una libertà
vigilata, sia preferibile l'anarchia.
Si può dire che Miyazaki è il
Segretario Generale e Takahata il capo del Partito, o il Presidente della
Repubblica Russa. Suzuki è indubbiamente il capo del KGB! Però quello che fanno
e la realtà interna all'organizzazione che le fa, queste sono due cose del
tutto distinte. Il punto è che [allo Studio Ghibli] si sono raccolte persone
che considerano positivamente questa ferrea unione.
Quel che gli altri animatori pensano
dello Studio Ghibli, per quanto ne so io fondamentalmente ne ricoscono i meriti,
questo è certo, ma è metà odio e metà amore. La reazione generale è di
ammirazione, ma senza voler andare a lavorarci. Perché hanno un'organizzazione rigida,
appunto. Ad esempio, ti dicono di presentarti alle dieci di mattina per tornare
a casa alle dieci di sera, e si dovrebbe andare avanti così, tranquillamente,
per uno o due anni. Dove lavoro io, fino al tardo pomeriggio non si fa vedere
nessuno, e non si capisce niente di chi faccia cosa. E poi, visto che io tendo
a stufarmi, il lavoro lo si chiude in otto o dieci mesi. E il mio modo di
lavorare è quello più diffuso.
Hanno invitato più volte anche me, ma
la ragione principale per cui non voglio lavorare allo Studio Ghibli è
l'eccessiva rigidità dell'organizzazione. ^_^ Inoltre, vicino allo Studio
Ghibli non c'è un granché di posti dove mangiare. Io non posso accettare una
vita alimentare povera, ma a Miyazaki e Takahata il cibo non interessa. Basta
questo per capirlo, loro non è che impongano agli altri la propria ideologia,
ma la propria costituzione. Dicono che arrivare [al lavoro] la mattina e
tornare a casa la sera sia la cosa migliore, ma non perché lo pensano, è solo
che non riescono a fare altrimenti.
Be', come per l'esercito, o per i
partiti, a determinate persone sembra un ordine positivo, ad altri un
intollerabile fascismo. Quel che è certo, però, è che solo con quelle
restrizioni, solo grazie a quelle innumerevoli restrizioni possono fare i loro film.
Ogni regista vive sempre un conflitto: vuole
fare le cose così come le pensa ma intanto si chiede fino a che punto si
possano sacrificare gli altri. Il fatto è che non può fare niente senza il
supporto degli altri. Credo che ognuno adotti una strategia diversa, e le differenze
nascono tutte da questioni ideologiche.
Miyazaki e Takahata non sono dei
moralisti. Una carenza di moralità che condividono con la generazione degli
anni Sessanta. Se c'è l'opportunità, ovvero se hanno una giusta causa, allora sicuramente
pensano che sia lecito fare qualunque cosa. E in un certo senso è questo ciò
che detesto di più, il motivo per cui non riusciranno mai a piacermi del tutto.
Nel mio caso, anche se è quasi
impossibile, cerco di fare in modo che fine e mezzi coincidano. Quando si
devono affrontare le situazioni concrete, Miyazaki e Takahata usano
l'intimidazione e la sottomissione dialettica. Io invece, detto in termini
negativi, uso l'inganno, oppure, detto con parole positive, cerco di mostrare i
vantaggi comuni. Entro un certo limite accetto anche cose contrarie alla mia
volontà, oppure le faccio pensando che, comunque, in qualche modo ne sarò
ripagato.
Ci sono riviste di fumetto e animazione
che levano cori di lodi sperticate, per cui lo Studio Ghibli sarebbe il
migliore del Giappone, anzi, del Mondo, la buona coscienza dell'animazione
giapponese... ma sono tutte balle! ^_^ Chiunque metta anche un solo piede
dentro lo Studio Ghibli lo capirebbe. Be', non voglio essere del tutto
negativo, però tutte quelle lodi, ora come ora, fanno male a chi ci lavora
dentro. Ed è per questo che vorrei ci dessero un taglio. Ci vuole qualcuno che
li critichi, anche se per farlo servono forza e decisione.
Tralasciamo Takahata, ma Miyazaki è una
persona che, se li cerchi, i suoi difetti ce li ha. E siccome sono anche questi
difetti che fanno di loro due quel che sono, credo che divinizzarli possa solo
peggiorare le cose. Perché poi sono loro che devono farsi carico [di questa
divinizzazione]. Credo sia anche questa la causa per cui Miyazaki e Takahata
abbiamo dovuto lottare duramente, e ancora oggi stiano lottando in maniera
disperata.
Cosa si può raccontare nell'epoca attuale?
Probabilmente è questo il loro periodo
di maggior smarrimento. Credo si trovino in una situazione di gran confusione,
in cui non sanno più bene cosa creare. Penso questo valga per tutti, ma
Miyazaki e Takahata sono persone che non riescono a fare qualcosa se prima non
si sono interrogati sui motivi del loro agire in quel momento e non sono
riusciti a trovare una giusta causa con cui giustificarsi agli altri e a se
stessi. Ed è per questo che la situazione attuale sia davvero molto dolorosa,
per loro.
Il punto è che Miyazaki e Takahata sentono
una responsabilità nei confronti sia degli spettatori che dello staff.
Per loro è qualcosa di fondamentale, ma è un limite della generazione degli
anni Sessanta. Io non penso di dovermi assumere alcuna responsabilità. In fondo
già l'assunzione di responsabilità è ciò che porta al fascismo, e se proprio
devo averne una, allora sono responsabile solo verso me stesso.
Miyazaki stesso sa meglio di chiunque
altro che il suo prossimo film, Mononoke-hime, non regge dal punto di
vista dei principî. Con che coraggio, oggi, si può fare una storia in cui gli
uomini del villaggio abbattono il cattivo amministratore e quindi vivono felici
e contenti? Come si può mostrarlo con convinzione ai ragazzi, proprio quando nel
mondo abbiamo solo storie in cui, dopo aver abbattuto l'amministratore cattivo,
le cose vanno peggio di prima? Il potere del popolo che abbatte il tiranno,
com'era in Taiyō no ōji - Horusu no daibōken [1968, lungometraggio
diretto da Takahata], andava bene a quel tempo, ma come si può fare ancora Horusu
al giorno d'oggi?
Il fatto è che Miyazaki e Takahata
hanno sempre rispettato la regola per cui non possono fare nulla finché non hanno
risposto alla domanda su come confrontarsi con il momento storico, e come
pronunciarsi. Ma se cominciano a fare qualcosa consapevoli che è falso, in tal
caso mi farebbero più paura le conseguenze. Perché vorrebbe dire che tutte le
loro convinzioni sono cadute a pezzi.
La critica ai film di Miyazaki e Takahata!
Alla fine, nel mondo dell'animazione,
non abbiamo molti amici. È un mondo di artigiani, in cui è molto radicato che
non se ne debba parlar male, e quindi immagino che non sia molto apprezzato chi
parla male ad alta voce un po' di tutto, come Miyazaki o Takahata, o come me.
Però, intanto, non pochi lo faranno alle spalle... Io, da parte mia, se la cosa
è reciproca, penso non sia un male dire quello che voglio. Anche da parte di
Miyazaki me ne son sentite dire tante, ai tempi del secondo film di Patlabor
(1993), che era meschino, disonesto. Questo perché io stesso dico sempre
[quello che penso] dei suoi film. Per quanto riguarda i film dello Studio
Ghibli... Nausicaä [Kaze no tani no Naushika, 1984]: è La
corazzata Yamato nello stile di Miyazaki. Un film con un bel po' di
fronzoli, ma carico della passione di un attacco kamikaze! In tal senso
è ideologia fatta film, un'opera piena di forza, sostenuta da un'energia
eroica.
Laputa [Tenkū no shiro
Rapyuta, 1986]: il film che più mi piace, tra quelli dello Studio Ghibli.
Nel bene e nel male possiede una buona struttura come storia d'avventura per
ragazzi. Un'opera dotata di un ottimo equilibro tra quello che Miyazaki vuole
da un film e i suoi sentimenti personali. Per Nausicaä, invece, la
bilancia è spaventosamente squilibrata! ^_^ Comunque, la scena in cui la gente
cade in massa dal cielo e quel Muska se la ride dicendo che sembrano
spazzatura, quella fa venire i brividi. Perché da qualche parte esiste, questo
lato terribilmente spietato che vorrebbe la morte di tutti gli uomini.
Totoro [Tonari no Totoro,
1988]: per mettere in scena il proprio ideale, quello dello splendido villaggio
giapponese, è costretto a trasferire i troll dal Nord Europa. A parte
questo difetto fondamentale, è comunque un film di gran forza. Capisco come mai
i bambini ne vadano pazzi, dà al suo pubblico tutto quello che vuole. Ma chi fa
il suo stesso mestiere [di Miyazaki], non penso possa cascarci.
Kiki [Majo no Takkyūbin,
1989]: un film richiesto dalla sua epoca e allora Suzuki Toshio, con il suo
singolare intuito di produttore, ha "convinto" Miyazaki a farlo. È
troppo al servizio del pubblico per essere di Miyazaki, e io lo considero un
fallimento. Mi pare che in seguito Miyazaki sia stato depresso, e infatti per almeno
un anno non ha fatto nulla.
Porco Rosso [Kurenai no buta,
1992]: è una specie di autobiografia. Ci sono tutti quei bei discorsoni, gioca
a fare il pirata, ma per me è tutta un'autogiustificazione. Non sarebbe stato
male se, alla fine, si fosse improvvisamente tolto la maschera da majale e, con
la faccia di Miyazaki, avesse chiesto scusa. Sarebbe stato invece un vero
capolavoro se il majale protagonista fosse stato capace solo di grugnire ma bravissimo
nei combattimenti aerei!
Su Takahata avrei un sacco di cose da
dire! ^_^ Una tomba per le lucciole [Hotaru no haka, 1988] è
quello che apprezzo di più. Il suo è un mondo perverso, è la storia di un
incesto. E sullo sfondo c'è l'immagine persistente della morte. In tal senso è
un film erotico ma raggelante.
Con gli altri suoi film,
fondalmentalmente non riesco a entrarci in sintonia. Takahata cura
ossessivamente la messa in scena, ma finisce per sembrare tutta una
sofisticheria. Però, a dire il vero, a livello registico le maggiori influenze
le ho avuto non da Conan, ma Anna dai capelli rossi [Akage no
An, 1979]. L'ampiezza e la varietà della regia mi hanno sconvolto. Anche
perché non racconta nessuna storia, si lavano i piatti, si guarda la carrozza
che si allontana, nient'altro. E sono anche scene lunghe, ma hanno una forza
incredibile. Da questo punto di vista, su certe cose mi ha aperto gli occhî.
Io li critico su questo e su quello, ma
se Miyazaki e Takahata smettessero di fare film, penso che mi annoierei. Credo
che le cose sembrerebbe stranamente prive di sapore.
La mia intenzione è quella continuare a
criticare lo Studio Ghibili e Miyazaki, e tutti quelli che mi ascoltano sono
d'accordo, ma poi guardano [i loro film] e dicono che comunque gli piacciono.
Dal punto di vista della forza di
persuasione, i loro film sicuramente ne hanno parecchia, e altrettanto
sicuramente ne hanno più dei miei. È come se avessero un singolare istinto per
attirare il grande pubblico. Credo che Miyazaki e Takahata abbiano una forza
fuori dall'ordinario, nel senso che da una parte hanno l'atteggiamento
ideologica degli anni Sessanta, ma dall'altra riescono a vivere dentro la
società del consumismo di massa, facendo i film che vogliono fare. Normalmente
sarebbero già stati rinchiusi da un pezzo in un museo.
A un certo punto sembrava potesse
finire così, ma sono riusciti a riprendersi in maniera straordinaria. Questo
perché allora hanno fatto fronte comune. Entrambi hanno potuto fare i proprî
film perché c'era anche l'altro che ne faceva. Un'intesa straordinaria, anche
perché non sono proprio dei buoni amici. Sarebbe un grande errore pensare che
lo siano. In un certo senso sono come cane e gatto ed entrambi hanno dei lati
che l'altro non accetterà mai. Eppure fanno senza problemi fronte comune,
perché sono della generazione dei fronti popolari. Un mondo che per me è inaccessibile.
Ma in ogni caso, persone così
interessanti non ne ho incontrate, da quando ho cominciato questo lavoro.
Miyazaki è un amico cui posso concedere davvero tanto, ma con cui non mi sento
(e non potrò mai sentirmi) in totale sintonia.
A confronto con la cattiveria di
Miyazaki e Takahata, per certi versi mi sono fatto più scaltro, sono stati dei
maestri inaspettati per me, che mi hanno fatto imparare molte cose. Inoltre, mi
hanno insegnato molto sugli aspetti concreti del fare un film, ad esempio come
rapportarsi coi clienti. Mi hanno permesso di imparare molto su come agire per
realizzare il film che si ha in mente, a quali persone è opportuno rivolgersi.
Grazie a loro vivo più facilmente, mi sono stati di grande ajuto.
Non ho nulla da chiedere loro. Ho però
un desiderio personale, che non li riguarda, vorrei solo vedere in che modo si
ritireranno, e ciò include anche la responsabilità ideologica di quel che hanno
fatto. Non ho quasi alcuna aspettativa che possano mostrarci qualcosa di nuovo,
che ci sia qualche nuovo sviluppo. Sicuramente c'è già stato un periodo in cui
ci hanno fatto vedere cose meravigliose, ma tanto è bastato, no? Cos'altro possiamo
desiderare?
Parliamo di Miyazaki: si è
completamente imbiancato e ha lo stomaco così debole che non riesce a mangiare
nemmeno un katsudon [piatto a base di majale]. Ha un braccio pieno di
stimolatori elettrici, perché non riesce a muovere la mano. Eppure continua a
lavorare, perché gli piace.
Sicuramente quel che dico porterà a
qualche scontro, ma credo che la sua missione storica sia giunta alla fine. Da
quel che ho potuto vedere io, il suo apice è stato con Conan e Il
castello di Cagliostro [Rupan sansei - Kariosutoro no shiro, 1979],
e viceversa è stato proprio con il trasferimento allo Studio Ghibli che ha
cominciato battere in ritirata. Questi ultimi dieci anni, anche se la qualità
dei film è cresciuta sempre di più, dal punto di vista della sostanza io li
vedo come una ritirata. Però credo che Miyazaki sia una persona felice, perché
ha fatto fino in fondo quello che voleva fare.
Io dico sempre che vorrei ritirarmi a
vivere tra i monti, e credo che anche lui senta la stessa cosa. Ma il destino
di un creativo è di tornare come e più di prima a far chiasso sul luogo di
lavoro, il destino di chi riesce a sentire veramente di esistere quando urla
sul lavoro. Quindi io credo continuerà ad andare avanti, finché sarà in grado
di muoversi.
Effettivamente non penso si potrà mai
assistere a un ritiro di Miyazaki, asciutto e ammirevole. È impossibile che
passi gli ultimi giorni della sua vita con semplicità, ritirato nella sua casa
di montagna, a fare libri illustrati su alberi e insetti e aspettando le visite
dei nipotini. E se mai succedesse, be', sarebbe qualcosa di triste.
(17 maggio [1995], presso la Production
I.G a Kokubuji)