Il seguente articolo è tratto da: Oshii Mamoru, Kore ga boku no kaitō de aru 1995‑2004, Tōkyō: Infobān, 2004, pp. 59-63; già comparso sulla rivista mensile Waiādo, numero di dicembre 1997.

Traduzione dal giapponese realizzata da Yupa il 14 Agosto 2005, rivista e corretta tra il 18 e il 20 dello stesso mese.
Le note tra parentesi quadre sono opera del traduttore. La traduzione è stata eseguita senza alcun fine di lucro, con l’unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana sull’animazione giapponese, altrimenti irraggiungibili, ed è liberamente distribuibile. In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In caso di distribuzione e/o utilizzo si prega comunque di avvisare anticipatamente il traduttore.
Tutti gli errori e le omissioni sono da addebitarsi al traduttore.

 

La realtà dentro al cinema

 
Si tratti pure di una tecnica scoperta da Edison, io credo che il desiderio e il bisogno di cinema fossero presenti nell'uomo già prima di questa scoperta.
Intendo dire che, come il desiderio di riprodurre la realtà esisteva prima della comparsa della fotografia, allo stesso modo anche il desiderio di vedere immagini in movimento era presente nell'immaginario umano sin dai tempi delle pitture rupestri delle grotte di Altamira. E questo cinema immaginario possedeva fin dall'inizio colore e sonoro, e la tecnica, più avanti, non ha fatto altro che concretizzarlo.
Possiamo dire la stessa identica anche dell'attuale diffondersi del digitale. Prima ancora che comparissero le tecniche di creazione ed elaborazione digitali, il desiderio per questo tipo di immagini già esisteva sia negli spettatori che nei registi, un desiderio che aveva portato agli effetti speciali, come l'uso dei modellini, o il trattamento dei rodovetri. Il digitale non ha fatto altro che ampliare l'ambito di questi sistemi di lavorazione.
Quel che conta non è che si sia stati in grado di realizzare film digitali successivamente alla comparsa del digitale, ma che il desiderio di realizzarli sia sempre esistito già da prima. Ancor più importante è che questa tecnica ha certamente cambiato il cinema, ma se sia o meno possibile farla funzionare entro il cinema, ciò dipende dal grado di maturità dell'immaginario proprio della sensibilità dello spettatore nei confronti di queste figure [digitali], un immaginario che precede la nascita della tecnica [digitale]. Le forme che lo spettatore non è in grado di accettare non funzionerebbero come cinema, mentre la sensibilità che permette questa comprensione si regge innanzi tutto sulla memoria del cinema che si è già visto.
È ciò che io spesso definisco come soglia percettiva della realtà propria dello spettatore, e un cinema che ne superasse i limiti non verrebbe accettato. C'è il cosiddetto cinema sperimentale, che può superarli senza farsi troppi problemi, ma non è questo il nostro lavoro. Il nostro lavoro consiste nell'esaminare a fondo e freddamente questi limiti e nell'agire in un bilico continuo sulla linea di confine. Senza la capacità di distinguere la linea oltre la quale comincia il rischio, una regia che abbia il coraggio del bilico diventa impossibile, e tutto finisce per essere come Mito Kōmon [nome di quello che è meglio noto in Italia come Mitsukuni Mito, uno shōgun su cui in Giappone sono fiorite diverse leggende, trasmesse in modo inverosimile e stereotipato attraverso racconti, film, fumetti, e via dicendo. In Italia è arrivata la serie televisiva d'animazione, trasmessa col titolo L'invincibile shogun].
Quindi nel cinema quando si fa qualcosa che ancora non è stato fatto non si ottiene nulla di nuovo. Il desiderio di determinate immagini e il desiderio di vederle sono sempre esistiti, già prima della tecnologia, e la nascita di nuove tecnologie non può cambiare l'immaginario umano e nemmeno superarlo. Quindi, immagini che ancora nessuno ha mai visto possono esistere solo metaforicamente, non realmente.
Se però potessero esistere, forse una possibilità può darla la computer graphic. Potrebbe esserci questa possibilità, se si affermasse il metodo di creare immagini modificando gli algoritmi usati per generare immagini già note al pubblico. Ma è una possibilità puramente teorica, e credo sarebbe ovviamente molto difficile che possano venire riconosciute e accettate immagini così generate. È un discorso, questo, che sta a un livello diverso da quello sulle meravigliose forme degli insetti, o sull'impatto che può avere una zecca vista al microscopio elettronico. Si tratterebbe di un mondo disegnato da una divinità, nulla di più [quel mondo fatto di immagini digitali incomprensibili per l'essere umano].
È per questo che creare qualcosa che superi l'immaginario umano diventa una questione senza fine. Io sospetto che non sia possibile superare l'orizzonte che l'uomo stesso si crea con il linguaggio e le immagini. Si può fare cinema unicamente sulla base della memoria del cinema, e questa memoria risale a un immaginario che esisteva ben prima dell'invenzione del cinema. Questo immaginario, poi, ha delle regole sue proprie costitutive, non è affatto libero. L'uomo non può superare il proprio immaginario, e non può nemmeno oltrepassare il proprio mondo linguistico.
Ovviamente, anche essere sempre coscienti di quel che sta oltre il limite ha un suo senso. È come la coscienza del divino, non è che abbia senso l'atto concreto del parlare, il senso sta nel parlare tenendo sempre presente quel di cui non si può parlare. Anche per le immagini, per poter avere presente i limiti di quel che si può dire, si può solo tenere sempre presente quel che non si può dire.
In tal senso il cinema non inganna, e non sarebbe possibile lavorarci neppure un giorno senza la volontà di creare immagini che ancora nessuno ha visto. Ma è anche certo che questo è impossibile. Come motivazione funziona, anche se non è concretizzabile. In cent'anni di cinema ormai non esistono più scene o immagini che nessuno abbia ripreso, e di immagini nuove non ne esistono comunque.
Quel che però conta non sono le immagini, ma che il cinema possa continuare a esistere. Il cinema non può fare a meno delle immagini, ma ciò non vuol dire che un'immagine abbia un senso di per sé. Quale senso conferire alle immagini, ovvero in che modo porle in nuovi ambiti... assegnare loro un determinato contesto, creare fatti significativi, che vuol dire anche significati nuovi, questo io credo significhi fare cinema.