Il seguente articolo è tratto da: AA.VV., Oshii Mamoru zenshigoto zōhokaiteiban – "Urusei yatsura" kara "Avaron" made, Tōkyō, Kinema Junpōsha, 2001, pp. 122-125, dopo essere comparsa in precedenza nel numero 1204 (26/10/1996) della rivista Kinema Junpō.
Traduzione dal giapponese realizzata da Yupa tra il 9 e l'11 Novembre 2004, rivista e corretta tra il 30 Novembre e il 2 Dicembre 2004, senza alcun fine di lucro, con l’unico scopo di divulgare informazioni in lingua italiana sull’animazione giapponese, altrimenti irraggiungibili.
L’ordine cognome-nome rispetta l’originale giapponese e non è ribaltato come invece avviene di consueto (quindi Oshii Mamoru e non Mamoru Oshii).
Tutti gli errori e le omissioni, nonché le note contenute tra parentesi quadrate, sono da addebitarsi al traduttore.
In caso di citazione si prega di non alterare il contenuto. In caso di distribuzione e/o utilizzo si prega di avvisare anticipatamente il traduttore.
 
 
 
OSHIILOGIA
Buttate via genere e autore!
Cinema come animazione, animazione come cinema
Di Ueno Toshiya: critico, professore associato all'Università del Chūbu, storico sociale del pensiero, specializzato in critica dei media.
 
Mi è capitato di vedere uno storyboard di Oshii Mamoru, credo proprio si trattasse di Kidō keisatsu Patoreibā 2 The Movie [secondo film del ciclo di Patlabor]. Non sono un esperto di storyboard, non è che ne abbia mai visti molti. Quel che è certo però è che, per essere uno storyboard, era disegnato con molta cura, in tutti i dettagli. Sembrava quasi sarebbe bastato muoverne i riquadri per ottenere le scene in animazione. Poi questo storyboard è stato inserito nel secondo CD-Rom di Patoreibā, dove è effettivamente possibile provare a muoverlo in sequenza, e quindi chiunque ha potuto sperimentare con facilità la mia stessa sensazione.
Nel guardarlo mi sono chiesto se Oshii non veda costantemente il mondo come quello storyboard, cioè, se non fosse indicativo di uno sguardo che sin dall'inizio vede la realtà come animazione. Per Oshii l'animazione non è necessariamente una riflesso, una copia della realtà, si tratta piuttosto di una realtà a sé stante e indipendente; mentre la realtà stessa del mondo, dal suo punto di vista, si struttura e schematizza come animazione. È proprio questo il principio fondamentale per poter guardare il cinema di Oshii, e che io vorrei analizzare da più punti di vista.
In generale, chi si distingue per il proprio operato in un'arte o in un campo espressivo, inevitabilmente arriva a costruire, a creare in quel proprio ambito espressivo un suo mondo ben definito. I pittori impressionisti hanno interpretato il mondo come un insieme di luce e di singoli elementi pittorici, gli scrittori hard boiled hanno ricreato la realtà come un accumulo di azioni e fatti oggettivi. Infine, gli autori di cinema ci presentano un rimodellamento del mondo proprio come se questo, sin dalla sua origine, nascesse come cinema. La cosa è evidente.
Proviamo a considerare dei ben noti esempî dal mondo animale. C'è il mondo così come una zecca lo percepisce in quanto zecca e il mondo così come un delfino lo percepisce in quanto delfino: i diversi mondi si strutturano in base alle diverse forme della percezione. Allo stesso modo le diverse espressioni culturali sono informate da diversi, particolari punti di vista. La forma espressiva eccezionale è proprio quella che, di volta in volta, è in grado di rendere la singolarità, l'unicità, di queste forme, di queste strutture. E questo include anche quei processi che smontano e trasformano forme e strutture stesse.
È così strano, dunque, che esista un autore che da sempre vede la realtà come animazione?
Il tentativo di organizzare e ritagliare l'intera realtà del mondo come animazione non è poi così raro. Interpretare qualunque oggetto, qualunque persona come un disegno animato è possibile, e credo sia quello che stanno cercando di fare tutte le opere d'animazione attuali. Che si tratti di una finzione estrema basata sulla deformazione, che si tratti di disegni relativamente fotorealistici, vedere la realtà come animazione e su questa base ristrutturare il mondo è un'operazione piuttosto comune e nient'altro. L'unico problema, in tal caso, risiede nell'accuratezza, nel grado di precisione del disegno animato.
Com'è ben noto, il senso originario dell'animazione consiste nel rendere vivo, nel conferire la vita: in altri termini, infondere vita nella materia, negli oggetti inanimati. Qualcosa, quindi, che possiede un suo forte significato estremamente occidentale, cristiano. Questa la ragione per cui in Occidente, per tradizione, si fa molta animazione coi pupazzi, con la plastilina, con gli oggetti. E probabilmente è anche per questo che l'animazione che utilizza i normali rodovetri, in Occidente, è relativamente primitiva. Dall'altra in Giappone le tecniche e le rappresentazioni con l'animazione [a disegni animati] si sono sviluppate in maniera quasi abnorme. Si pensi ai personaggi coi capelli biondi o verdi o all'esagerata grandezza di bocca e occhi: si tratta di una simulazione eccessiva della realtà, e questo è particolarmente evidente nella rappresentazione dei riflessi dell'acqua e della luce, dei dettagli dei mezzi di trasporto e dei meccanismi. L'obiettivo non è una semplice riproduzione della realtà, l'obiettivo è qualcosa privo di un suo referente, cioè una iperrealtà che appaja più reale della realtà stessa. È un aspetto che non può essere trascurato, fosse pure, ipotizziamo, un esito dovuto all'impossibilità di usare gli astronomici budget di Hollywood per gli effetti speciali.
Tuttavia non è questo il senso secondo cui Oshii vede il mondo come animazione. Innanzi tutto Oshii non riconosce una realtà che preceda il cinema e le forme espressive in genere, cioè una realtà che faccia da oggetto primario da riprodurre, da rappresentare. Così com'è per molti autori cinematografici, per Oshii la realtà è già da sempre cinema, ovvero è movimento di immagini. E comprendere la realtà come movimento di immagini significa al contempo osservare sin dall'inizio questa realtà/cinema come se fosse animazione, e in quanto animazione organizzarla.
 
Il rifiuto della citazione cinematografica facile
Da una parte Oshii introduce nell'animazione una gran quantità di movimenti proprî del cinema reale. In altri termini, nell'immagine animata di Oshii la macchina da presa "virtuale" si muove e svolge, con controcampi e campi lunghi, le funzioni della macchina da presa del cinema dal vero. Inoltre tramite l'uso di apposite lenti vengono riprodotti, a seconda dei casi e delle lenti adoperate, persino gli effetti delle distorsioni luminose. L'obiettivo non è però di riprodurre fedelmente la realtà. È soltanto la più netta dimostrazione che anche l'animazione è una delle possibilità della realtà, e nulla di più.
E questo non può essere ridotto al fatto che Oshii sia un amante del cinema. Sicuramente, guardando i suoi film uno per uno, risultano chiare agli occhi di chiunque le innumerevoli citazioni cinematografiche: Godard, Hitchcock, Tarkovskij... sono diversi gli autori che possiamo nominare. Ma accontentarsi di rinvenire in questo l'identità di Oshii come autore sarebbe troppo semplice. Questo perché si finirebbe per vederlo come quell'"autore che fa autorialità nell'animazione perché non gli è stato permesso di far cinema". [Ueno si riferisce a una immagine corrente dell'opera di Oshii, secondo cui, per lui, l'animazione sarebbe nient'altro che un ripiego dovuto alla mancanza di occasioni per far cinema "dal vero"; certamente quest'immagine è avallata anche da affermazioni fatte a tal proposito dallo stesso Oshii, ma Ueno vuol dire che comunque il cinema, animato e non, di Oshii, non può essere ridotto soltanto a questo]
Dall'altra parte Oshii ha affrontato il cinema dal vero, e questo ha un'importanza decisiva. C'è già qualcosa di strano proprio nel dover definire con l'espressione "dal vero" quelle opere di Oshii che non sono animazione (e qui si nasconderebbero anche evidenti discriminazioni e pregiudizî proprio verso l'animazione). Quel che è stupefacente è che nella forma espressiva di Oshii già non esiste più alcuna dicotomia tra animazione e cinema dal vero. Nello stesso modo in cui nell'animazione adopera liberamente le tecniche del cinema normale, le cosiddette opere "dal vero", cioè il cinema in quanto tale, per Oshii, è animazione.
Come chiunque può capire guardandolo, il cinema di Oshii possiede quasi un'unica tematica (così come i migliori filosofi posseggono un numero limitatissimo di problematiche). E questa, che si tratti o meno di cinema "dal vero", è qualcosa che può essere rappresentata solamente con una forma "animata". Qualcosa che è facile cogliere nei segni delle immagini e delle strutture narrative: il cane, l'elicottero, l'uccello, la realtà e il sogno, lo specchio... elementi che a nessuno sfuggono. Ma questa identità, questa coerenza tematica non ha alla sua base quell'atteggiamento di Oshii che identifica cinema e animazione. Piuttosto, è connessa a una dimensione molto più materiale o, comunque, molto più fisica.
L'attore Chiba Shigeru può essere definito una presenza privilegiata nel cinema di Oshii ma questo deriva dalla sua personale metodologia di regista [Chiba Shigeru ha recitato da protagonista alcuni film "dal vero" di Oshii; inoltre, come anche detto più avanti, è il doppiatore di Megane, personaggio di Urusei yatsura]. Oshii, nel cinema dal vero, utilizza il corpo e il personaggio di Chiba Shigeru come se fosse un personaggio d'animazione (e ciò non nel senso che ci si riduca a una qualche sorta di cosplay). I suoi gesti, il vestiario, il modo di parlare di Chiba vengono resi fittizî sino all'estremo e, nello stesso momento, gli viene assegnato un senso di realtà identico a quello degli altri individui che lo circondano. E questo non riguarda soltanto Chiba. Nel cinema di Oshii agli attori viene costantemente richiesto il mantenimento di un realismo della quotidianità all'interno di un'interpretazione e una recitazione estremamente teatrali. Viceversa, nel caso di Yomota Inumaro e gli altri personaggi di goSenzo-sama banbanzai!, la loro fisicità è costruita entro le due dimensioni, grazie a una gestualità che potremmo definire quasi brechtiana. [goSenzo-sama banbanzai! è una poco nota serie per il mercato dello home video girata da Oshii e pubblicata nel 1985; i personaggi sono disegnati con uno stile "piatto" e agiscono come se si trovassero su un palcoscenico, dove l'intento è anche quello di parodizzare le sit com statunitensi]
Quindi attori e personaggi si riducono unicamente a delle presenze del tutto arbitrarie. Il corpo dell'attore, nelle opere di Oshii, non è nulla più di una bambola semovente, di un automa. Niente di cui stupirsi: è lo stesso Oshii Mamoru ad essere il burattinajo [riferimento al personaggio di Ghost in the Shell chiamato in originale ningyōtsukai (appunto, "burattinajo") e che, nell'edizione italiana del film, mediata da quella in lingua inglese, è diventato "signore dei pupazzi"].
Mentre i corpi sono mutati in qualcosa che deve essere animato, nel contempo abbiamo il tentativo opposto di conferire una corporeità ai personaggi d'animazione. Le sceneggiature di Oshii Mamoru e ancor di più quelle dovute a Itō Kazunori, inseparabile membro della "Oshii crew" sono celebri per i lunghi dialoghi. Impiego del monologo, frasi concettuali o allegoriche o, ancora, parole che celano sfumature sottile all'interno di un freddo linguaggio burocratico... Mentre la fisicità dei personaggi viene resa completamente fittizia e arbitraria, è evidente come le modalità dei dialoghi conferiscano realismo alla recitazione. Ciò che più distingue l'animazione di Oshii dall'altrui animazione credo si trovi effettivamente nell'uso della voce. Il suo ritmo particolare nasce dall'inserzione nei dialoghi di lievi pause per il respiro. In questo modo viene veramente "infuso lo spirito", viene data una corporeità al disegno animato; e questo mentre la voce dei doppiatori è trasformata in qualcosa di fittizio, di tipico dell'animazione: si pensi al caso di Megane in Urusei yatsura, doppiato da Chiba Shigeru. Basta lui per poter sperimentare questa doppia procedura.
Quindi, si tratti dei personaggi dagli occhi enormi tipici degli anime, o di un design dai toni adulti, o che siano interpretati da veri attori, in quanto immagini hanno comunque tutti lo stesso identico valore, immagini trasversali il cui movimento dev'essere compreso come movimento animato. Collocarle nel cinema d'animazione senza considerare questo punto di vista sarebbe da retrogradi. Questo perché la fissazione delle forme espressive e delle immagini del cinema d'animazione e la loro affermazione in quanto genere si traduce prima di tutto nella perdita di quel punto di vista secondo cui il cinema stesso in quanto tale può già da sempre essere cinema d'animazione, e non sarebbe quindi più possibile comprendere quel che di animazione nutrono le cosiddette opere "dal vero" di Oshii. Che Oshii non utilizzi un design tipico dell'animazione non significa necessariamente che non rispetti l'animazione in quanto genere.
In tal senso sarebbe solo un clamoroso fraintendimento dividere con una linea netta lo stile irreale "da cinema d'animazione" di goSenzo-sama banbanzai! o Byūtifuru Dorīmā [secondo film di Urusei yatsura] e quello semirealistico di Patoreibā e Kōkaku kidōtai [più noto come Ghost in the Shell] e interpretare quest'ultimo come una ritirata dal quel che è "tipicamente animazione". Una critica così superficiale rifiuterebbe di per sé l'occasione per poter incontrare quel movimento che Oshii ha organizzato a cavallo tra cinema e animazione.
In realtà, prendendo a prestito l'idea di cinema di Yomota Inuhiko in Talking Head [terzo film "dal vero" di Oshii Mamoru, del 1992], la consapevolezza che "il cinema ha avuto inizio con la magia" ha in sé la tesi implicita secondo cui "tutto il cinema è animazione". Il coerente perseguimento, nell'opera di Oshii, di uno stile che mette in discussione le narrazioni, basato sulla metafiction non ha a che fare con una semplice scelta di tipo tematico. L'opposizione tra realtà e finzione, tra realtà e sogno si sovrappone con un movimento inestricabile all'opposizione tra realtà e immagine, tra immagine e animazione.
È questo modo di pensare che rende possibile, per la prima volta, vedere la ragione per cui Oshii reinterpreta più e più volte una stessa identica struttura. La stessa che, tuttavia, di volta in volta viene ripresa con diverse modalità. Che nascano dei paradossi temporali, che non si riesca a uscire dalla dimensione del sogno, che si ripeta più volte la stessa illusione, tutto viene sempre condotto all'interno di quel movimento di eterno ritorno che è il cinema. Soltanto, la fortissima provocazione di Oshii è ritenere che il segreto di questo movimento, come abbiamo visto, si trovi nell'animazione (ma questa è una possibilità effettivamente corretta, dal punto di vista della teoria dei media, e anche dal punto di vista storico [credo che Ueno si riferisca al fatto che il cinema d'animazione, cronologicamente, ha visto la sua nascita prima del cinema "dal vero"]. Ma questo porterebbe a profondi problemi per quanto riguarda l'autorialità intesa all'interno di una cornice critica).
 
La struttura dell'enigma che Oshii propone
Tutti i protagonisti dei suoi film agiscono come se avessero scordato i gesti dell'opposizione, della resistenza, mantenendoli al contempo. Ma premessa della resistenza è l'obbedienza coerente a un ordine e una struttura dati. È evidente che Oshii nei confronti della memoria storica del cinema ha l'atteggiamento del cane che vaga qua e là. Il cane percorre la terra al livello del suolo, e gli è assolutamente impossibile trascendere il mondo; allo stesso modo il regista cinematografico è immerso nella memoria e nel sistema del cinema, gli è immanente e non può esprimerlo nella sua totalità, da una visuale aerea. I patti, l'ordine, il sistema del cinema... la ripresa, la sceneggiatura, il montaggio, la produzione, il sonoro, l'indagine approfondita ed eccessiva dei principî che governano tutti questi sistemi è stata portata avanti fino alla nausea all'interno del cosidetto "cinema sul cinema". Ma ora Oshii ci propone un'ulteriore messa in dubbio di tutte queste premesse, e lo fa in un territorio intermedio che sta tra animazione e cinema.
È sin troppo ovvio chiedersi se questa nostra "realtà" non sia il sogno di una farfalla. Ma anche senza poter discernere con nettezza se a sognare sia la farfalla o l'uomo, comunque si deve vivere. Il problema è chi sta ponendo questa domanda e in che modo e a chi la domanda è rivolta e in che modo. A questo proposito l'atteggiamento del cinema di Oshii è semplice. Oshii non risponde all'enigma, ne propone soltanto la struttura.
La giojosa atmosfera del tempo della "vigilia della festa" non è detto per forza che sia qualcosa di romantico. Questo perché mentre l'esito, i frutti della festa (la risposta all'enigma) continuano a rimanere sconosciuti, quel che prosegue è il tempo in cui si lavora [in vista della festa] (l'indagine sull'enigma).
Quest'impresa ci viene a volte presentata come qualcosa di eroico. Ma come se se ne vergognasse, il cinema di Oshii adopera in gran quantità anche il non sense e l'umorismo. Da una parte, nel ruolo della farfalla tra sogno e realtà viene sempre posta una donna o una ragazza, che può essere la "ragazza rossa" [personaggio di Akai megane, primo film "dal vero" di Oshii], l'"ospite" [personaggio di Talking Head], "la bambina del sogno (Lamù)", "Danmi" [personaggio di Keruberosu – Jigoku no banken, secondo film "dal  vero" di Oshii]... ciò conferisce ai film di Oshii una loro stabilità strutturale. Ma questo non conduce comunque alla presenza di un involontario romanticismo (personalmente, comunque, la cosa non mi dispiace).
In Kōkaku kidōtai quasi per la prima volta la protagonista è una donna, mentre il genere del "burattinajo" viene ipotizzato come maschile, e questo sembra il tentativo di una determinata soluzione al punto debole di cui sopra. Eppure, nella scena finale, la protagonista possiede un corpo artificiale indubbiamente infantile.
Allo stesso modo quel che non viene assolutamente tralasciato è proprio la tematica dello specchio e dell'alter ego. I personaggi, intenzionalmente o senza saperlo si trovano ad affrontare un proprio alter ego. Todome Kōichi [protagonista di Akai Megane e di Keruberosu – Jigoku no banken], che viene colpito da un'armatura vuota, Ataru che si dimena nel corridojo di specchî, la bambina con l'uovo che si riflette nelle acque, il regista disoccupato che si confronta con il regista folle che altri non è se non lui stesso, tutti, senza rendersene conto, si incontrano e lottano con il proprio alter ego. Sarebbe facile vedere ciò come una paranoja di Oshii Mamoru in quanto regista, ma in tal modo ci lasceremmo sfuggire la presenza di quegli specchî e alter ego in cui noi stessi ci imbattiamo. Piuttosto che infrangerli, questi specchî, è ben più difficile, e anche più piacevole, indagare la loro origine e natura.
Dopotutto, è in questo che consiste guardare il cinema (animato) di Oshii Mamoru.